sabato 18 aprile 2009



Il ricordo

del gran benefattore

sia punto di vittoria

sul negletto passato

sulla corta memoria

per colui che non ebbe

né lapide né gloria

alla nostra Cairo

ei donò

a pubblico decoro

tutto il suo oro

rinato il civico palazzo

sacrario di lettura

vitalizio di cultura

memento e cuore

del gran benefattore:

palazzo di città Luigi Baccino

alfin venga chiamato

e sempre sia lodato.

bruno chiarlone ri-fecit

die 15 juli 2009






Lettera di Mimmo Lovanio a Bruno Chiarlone (4 maggio 2009)

Ho letto, in meno di due giorni, il tuo libro. L’interesse iniziale, per la storia del concittadino Luigi Baccino, si è accresciuto, sin dalle prime pagine, di una curiosità personale, fortemente nostalgica. Come saprai sono nato e cresciuto a Cairo ed ho abitato luoghi ove hai ambientato parte della vicenda. Sono nato nella casa della Loppa soprana (Fontanina) e, dopo pochi mesi, i miei genitori sono scesi nella casa della Loppa sottana, allora abitata, per una porzione, da Giovanni (Giuan) Carlini, un personaggio un po’ misantropo, proveniente da Altare, che viveva da solo e che non fu mai sposato.


La mia infanzia, libera, con tutte le sue scoperte e avventure nel rio Recoaro, nei boschi e nei prati circostanti la vallata, è trascorsa lì, nel micro mondo che va dal colle della Madonna del Bosco, con la sua chiesetta, a Camponuovo, dalla Funga alla Brichella e, più in alto dalla casa di Grenno ai Ravagni, verso Dego, dal Montegoso al Pist, ai Boschi di Montenotte.

Nella casa fatta costruire per l’asilo da L. Baccino, l’attuale Palazzo di città, ho frequentato le scuole elementari e le medie. Ricorderò sempre il primo giorno di scuola. Avevo sei anni e venni accompagnato da mia madre, per insegnarmi la strada. Dal giorno successivo vi andai da solo (poi con i coetanei Bruno e Renato), perché i miei genitori avevano un negozio di “commestibili”, come si chiamava a quei tempi, e una osteria, e mio fratello che aveva solo due anni.

In quella scuola ho imparato l’italiano come una lingua, perché fino ad allora, avevo parlato solo il dialetto di Cairo. Forse qualche maestra ci ha parlato del benefattore L. Baccino, ma non ne trovo più traccia nella mia memoria, forse per la lontananza e per gli anni trascorsi.

Qualche volta mi rivedo in un’aula, seduto al banco con i sedili fissi, il piano inclinato e il buco per il calamaio, sulla scalinata centrale o nei vialetti del cortile, con gli alberi, nel quale giocavamo a biglie. Più raramente penso al deposito delle biciclette, che era sul retro, verso piazza Abba, nel quale, testoni della terza media, fumavamo, nascosti, le prime mentolo, che si acquistavano sciolte.

Le scuole superiori le iniziai nella ex caserma, ora demolita, di via Colla. Mi sembrò un ripiego, in una struttura provvisoria, come lo era il corso scolastico. Infatti, fu trasferito, due anni dopo, nel palazzo delle OPES. Neanche l’antico palazzo dell’Università, in via Balbi, con i leoni della scalinata, seppe riprodurre quelle emozioni infantili.

Condivisi, in quegli anni, le letture di Steinbeck, di Hemingway, di Pirandello, di Pavese, che arbitrariamente hai voluto mettere nella storia di L. Baccino, con una trasposizione dal futuro al passato. O, forse, hai voluto aggiungere il suicidio alle ipotesi di una vicenda già carica di mistero? Ed una scomparsa definitiva architettata dallo stesso L. Baccino?

Anche da adulto, raramente, ho avuto l’occasione e la spinta per approfondire la conoscenza dei personaggi che hanno vissuto e che hanno voluto entrare, con le loro opere, nella storia di Cairo e nell’anima dei suoi abitanti più attenti.

E’ successo attraverso la Rivista Liguria Val Bormida o qualche racconto di mia madre, di parenti ed amici, ed ora, attraverso il tuo libro, coinvolgente anche per chi non è cairese, ne sono sicuro.

Mi ha permesso di risvegliarla, quella curiosità, intrisa di nostalgia, per andare a cercare nei substrati più profondi e lontani, alcune ramificazioni sopite o inconsce delle mie radici.